FIORELLA BOLOGNA: RÊVERIE

Fiorella Bologna, durante la sua attività creativa, sta come fuori dal tempo, bambina e donna insieme, sulla porta di casa. In una vecchia casa di campagna, sotto il portico, dove sono con lei vasi di fiori, vecchie sedie, le scarpe lasciate sull'uscio, e qualche gioco passato di mano in mano. Sta nel luogo da cui si osservano gli animali da cortile, le altre case lontane o, abbassando lo sguardo, dei piccoli insetti passare furtivi. Sta dove si vedono le stelle e il nero della sera, oppure, volgendo gli occhi, il focolare acceso.
In questo luogo Fiorella Bologna dipinge: in quello spazio fisico e mentale che è già domestico senza essere propriamente chiuso, in quella regione intermedia tra interno ed esterno, tra Sé e mondo (che lo psicanalista Winnicott definirebbe "area transizionale"), il fecondo ambiente emotivo in cui lasciar ritirare tutte le proiezioni infantili per muoversi verso una adulta consapevolezza della propria storia ed in cui la creatività trova la sua origine e il suo sviluppo.
Qui Fiorella Bologna dipinge, e lo fa quasi, per dirla con Federigo Tozzi, "con gli occhi chiusi", forse sognando, forse ricordando semplicemente. E qui, come nel romanzo citato, c'è un'atmosfera di familiare provincia, che guarda i monti e sente il mare, c'è un "affetto superstizioso" verso le piccole cose d'ogni giorno, c'è una stilistica predilezione per la cadenza del frammento a prevalere sul piano svolgimento narrativo, in modo da lasciare intatto, anzi aumentare, il potere evocativo delle immagini. Perché in questa sequenza di cuori che sembrano volti, fiori che paiono artigli, visi che ricordano case, scarpe collezionate con entomologa cura ed insetti che perdono tutta la componente di inquietudine che a qualcuno sanno suscitare, in tutta questa esposizione di memorie femminili non sta solo la storia personale dell'autrice, (certo, la sua biografia, anche se velata, è comunque linfa costante e filo rosso necessario della sua intera produzione), ma anche quel misto di inquietudine e nostalgia dei tepori d'un tempo che è proprio di ciascuno, pur declinato secondo vicende individuali. E non si vede in tutto questo una vuota serenità, un rifugio onirico nella dimensione dell'infanzia come idillio; vi si coglie piuttosto un gettarsi a capofitto nella libertà espressiva, sapendo e sottolineando ancora che la malinconia non fa paura, ma è componente essenziale della coscienza che nulla sarà più come prima, che la dolcezza del vivere non tornerà più quella.
Resta, anche, la consapevolezza dei propri mezzi espressivi, questa sì crescente nel tempo, con cui Fiorella Bologna opera. Seduta a dipingere sull'uscio di casa, china a sperimentare una continua stratificazione dei più diversi materiali, dall'olio alle matite, dal pastello al graffito, dal collage alla scrittura, con l'approccio empirico dell'alchimista e del bambino, ciò che crea è infine un grande palinsesto di memorie (non è quello il modo in cui esse si formano in noi, per successivi depositi?).
Su tutto questo si staglia, sovente, la parola scritta. Talvolta, quando leggibile ed esplicita nel suo significato letterale, sul limine rischioso dell'eccesso d'esplicazione; talaltra, se intesa come mero segno grafico e da leggersi solo come un appena percettibile sussurro, un cospicuo contributo alla capacità dell'arte di Fiorella Bologna di aprire, e velare allo stesso tempo, il suo mondo interiore alle più ampie e condivisibili letture di tutti noi che al suo "uscio" ci affacciamo.

MATTEO SARA

La Spezia, dicembre 2007