IL MURO COME SIMBOLO

Mura e muraglie. Segno di separazione, di difesa, d'invalicabilità, forse di superbia e di paura. "E andando nel sole che abbaglia - sentire con triste meraviglia - com'è tutta la vita e il suo travaglio - in questo seguitare una muraglia - che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia". Una vita eternamente separata da quel che c'è dall'altra parte e che si può immaginare: la pace, la gioia, la felicità. Ma la muraglia s'interpone implacabile, con le sue taglienti difese sul culmine. E d'altronde la muraglia di Eugenio Montale - la immaginiamo bianca di calce, cosparsa di erbe selvatiche affioranti tra le crepe, abitata da ramarri al sole, a picco su quel Tirreno di Liguria che il poeta amava - sembra quasi, paradossalmente, non imprigionare bensì liberare la fantasia: come la siepe de L'Infinito di Giacomo Leopardi, oltre la quale, e al di là del panorama effettivo ch'essa nasconde, si possono immaginare spazi infiniti e profondissima quiete.
Le mura vanno abbattute, si dice. Quando nel novembre del 1989 venne abbattuto il Muro di Berlino, sembrò che tutta l'umanità respirasse finalmente di sollievo. Poi ci siamo accorti che nuovi muri sono stati eretti, tanti, troppi: quello di Melilla in Marocco che separa l'ultimo brandello dell'impero coloniale spagnolo in Africa dall'inquieto retroterra continentale; quello che corre per chilometri tra Israele e Palestina; quello che separa la ricca San Diego, nella California statunitense, dalla povera Tijuana in Messico; quello che s'insinua per le strade e i vicoli di Belfast, a segregare i cattolici dai protestanti; quello di Guantanamo, dietro il quale non si sa quanti accusati di non si sa che cosa sono condannati ad aspettare che non si sa chi li accusi e li punisca. Sono barriere infami, ostacoli odiosi. Eppure, di muri e di muraglie si sente anche il bisogno. I muretti protettivi delle nostre case, che oggi magari si rinforzano di sbarre, grate e addirittura difese elettroniche e televisive, difendono la nostra privacy e la nostra sicurezza nei confronti di un ambiente esterno che sentiamo come ostile; anche quando ostile non è, il muro delimita, separa, ci fornisce garanzia di proprietà, ci offre la serenità che nasce dal senso del limite invalicabile. Come recita un vecchio proverbio inglese, "Good fences make good neighbours".
E, ancora, i grandi muri archetipici: quello del Paradiso Terrestre, che secondo la leggenda medievale, è tutto di fuoco; quello delle mura della Gerusalemme Celeste, fondato su rocce di pietra preziosa; quello che Alessandro Magno avrebbe eretto nel cuore dell'Asia per difendere la civiltà dai mostri reclusi al di là di esso; la Grande Muraglia della Cina, eretta a garanzia di un impero; il Muro Occidentale, come lo chiamano gli ebrei (o Muro del Pianto, come impropriamente lo definiscono gli altri), tutto quel che rimane del Tempio di Gerusalemme a testimonianza del periodo nel quale il santuario si ergeva in tutta la sua maestà.
Muri per difenderci, per garantire la nostra libertà insieme alla consapevolezza dei suoi limiti, ma anche muri come sfida. Il muro esclude e nasconde: proprio per questo invita a scavalcarlo, a passare oltre.
Stendere colori, tracciare segni, disegnare figure sulla superficie di un muro significa 'forarlo' simbolicamente, animarlo, trasformarlo in qualcos'altro, passarci attraverso. Un muro pieno di scritte ama, odia, grida, ride, denunzia. Da strumento di chiusura e di limite, si fa supporto di progetti, di fantasie, di desideri. Vi sono muri da abbattere, muri da conservare e da rafforzare, muri da animare, che aspettano qualcuno che offra loro voci e colori. Scegliete il vostro muro.

FRANCO CARDINI

Parigi, aprile 2010